Francesco Giavazzi, celebre sostenitore della mitologica “austerità espansiva”, in un articolo su VoxEU con Richard Baldwin fa il punto sulle opinioni condivise dagli economisti a livello mondiale sulle cause della crisi dell’eurozona… e sembra convergere verso la verità. Ci furono squilibri nella bilancia dei pagamenti, seguiti da ‘sudden stop’ dei flussi di capitale. Il debito pubblico non c’entra nulla. Certo, nel frattempo lo ha già detto perfino la BCE, da anni, e stava tutto scritto nella letteratura scientifica da decenni —vedi qui e qui—, ma leggerlo da Giavazzi a settembre 2015 fa comunque un po’ effetto (e un po’ senso).
di Richard Baldwin e Francesco Giavazzi, 7 settembre 2015
La crisi dell’eurozona, che è esplosa nel maggio 2010, dura già da mezzo decennio, ed è ben lungi dall’essere finita. Le previsioni ufficiali affermano che centinaia di milioni di europei non avranno le stesse opportunità che hanno avuto le generazioni passate. Il peso maggiore lo sosterranno i più giovani (Commissione Europea, 2015).
Ma questa non è più solo una crisi economica. Le difficoltà economiche hanno alimentato il populismo e l’estremismo politico. In un contesto sociale e internazionale che è più instabile che mai dagli anni ’30, la retorica anti-europea sta diventando prevalente. I partiti che sostengono la necessità di sciogliere l’Eurozona e l’Unione Europea non sono più confinati solo alle frange estreme.
Ancora peggio, si ritiene che le fragilità e gli squilibri che hanno innescato la crisi dell’unione monetaria siano tuttora presenti.
Come primo passo per trovare un ampio consenso su ciò che bisogna fare, abbiamo raccolto gli scritti forniti da 20 economisti di fama mondiale in risposta a una semplice domanda:
“Cosa ha causato la crisi dell’eurozona?”
L’eBook che pubblichiamo oggi: La crisi dell’Eurozona. Un’opinione condivisa delle cause e delle possibili soluzioni, presenta i loro punti di vista. Questo eBook si concentra sulle cause, partendo dall’idea che ‘se non sai cosa c’è di rotto, non lo puoi aggiustare’.
Emerge il consenso su un punto: fu “sudden stop”, non crisi di debito pubblico.
Sebbene i saggi raccolti siano in gran parte scoordinati – e gli autori abbiano background diversi – nel complesso emerge un messaggio straordinariamente coerente.
Flussi transnazionali di debito e credito tra i paesi dell’Eurozona durante gli anni precedenti la crisi – molti dei quali finirono per indirizzarsi verso i settori non commerciali – furono il motivo per il quale l’inganno sul deficit della Grecia nel 2009 potè scatenare una crisi così gigantesca.
Di fondo si è trattato di una classica crisi da “sudden stop”, e non di una crisi di debito pubblico.
Alcuni dei flussi di capitale intra-eurozona negli anni 2000 finivano a debitori privati (specialmente nel caso di Irlanda e Spagna), mentre altri finivano a debitori pubblici (specialmente nel caso di Grecia e Portogallo). Quando la fiducia scomparve nel 2010 e nel 2011, la maggior parte del debito venne riversato nelle mani dei governi. Dato che i governi dell’Eurozona non potevano né svalutare la moneta né costringere la banca centrale a finanziare il debito pubblico, i paesi membri dell’Eurozona che avevano un forte debito estero dovettero essere salvati.
Le cause di fondo della crisi dell’Eurozona furono quindi:
– Il fallimento politico nell’aver consentito che gli squilibri diventassero così ampi;
– Mancanza di istituzioni che assorbissero gli shock a livello dell’Eurozona, e
– Cattiva gestione della crisi.
Gli squilibri all’inizio della crisi
Il fulcro delle vulnerabilità dell’Eurozona sta nell’accumulo di grossi disavanzi delle partite correnti. Non c’è niente di intrinsecamente sbagliato in questi flussi. Se i soldi prestati vengono investiti in capacità produttive, ciò aiuta a ripagare i debiti. Ma per lo più non andò così. In Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna (i GIPS nella versione abbreviata, o GIIPS se si include l’Italia) i soldi finivano per essere indirizzati in vari settori non commerciali.
La prima colonna della Tabella 1 mostra il progressivo squilibrio dalla nascita dell’euro fino all’anno prima che crollasse la Lehman Brothers. Il dato per Grecia, Cipro, Portogallo e Spagna è enormemente negativo. Ciò significa che questi paesi stavano investendo molto, molto di più di ciò che stavano risparmiando, e ciò era implicitamente finanziato dal capitale estero. Certo, tutto ciò è stato l’esito dell’apertura dei mercati. Nessuno dei governi fu coinvolto in modo sistematico in questi flussi di debito e credito estero.
Da parte dei creditori, i numeri sono elevati, ma non così tanto per i paesi core – Germania, Francia e Paesi Bassi. L’Italia, va notato, ha un dato solo moderatamente negativo, ad appena il -8%.
La seconda colonna mostra che, per alcuni di questi paesi, gli afflussi di capitale estero stavano finanziando il deficit di bilancio. In Grecia e Portogallo il numero pesantemente negativo della prima colonna (indebitamento estero) è accompagnato da un numero altrettanto negativo nella seconda colonna (indebitamento pubblico). Gli ampi deficit cumulativi risaltano in particolare per Spagna e Portogallo, ma perfino Germania e Francia hanno aumentato notevolmente il loro debito pubblico, nell’ordine di 20 punti percentuali di PIL, durante quel periodo. Anche l’Italia si trova su un livello simile, solo un po’ più alto. Per quanto riguarda il surplus, Finlandia e Lussemburgo hanno numeri stranamente elevati.
In parole povere, una parte importante di debito pubblico fu creato durante gli anni tranquilli dell’eurozona. Ma la discreta crescita di quel periodo comportò di fatto una diminuzione del peso del debito nella maggior parte dei paesi europei. Per avere un riferimento, si veda il rapporto debito pubblico/PIL nell’ultima colonna della tabella.
La terza e quarta colonna della Tabella 1 mostrano rispettivamente l’incremento degli asset bancari su PIL dal 2000 al 2008, e il rapporto asset su PIL all’apice della crisi. Si tratta di numeri notevoli.
– Le banche irlandesi hanno accumulato quasi 4 volte il PIL del paese;
– Le banche austriache 2,5 volte il PIL;
– Gli asset delle banche di Spagna, Belgio e Francia sono aumentati di oltre il 100%.
Arrivati al 2007, molte banche erano diventate non solo troppo grandi per fallire (“too big to fail”), ma anche troppo grandi per essere salvate (Gros e Micossi, 2008). Le banche irlandesi avevano accumulato asset (e cioè crediti) per un valore di sette volte il PIL irlandese. Le economie core non se la passavano tanto meglio, dato che le loro banche avevano accumulato crediti per oltre due volte il PIL dei loro rispettivi paesi; per Germania, Francia e Paesi Bassi andarono oltre tre volte il PIL. Il dato per il Lussemburgo è letteralmente astronomico.
Il punto chiave è che i paesi che hanno dovuto essere “salvati” erano quelli che avevano accumulato i maggiori deficit delle partite correnti, non quelli che avevano il maggiore debito pubblico, né il maggiore deficit di bilancio pubblico, e neppure quelli che avevano accumulato i maggiori debiti delle banche.
Quando gli investitori sono ritornati cauti, hanno spesso di prestare a debitori esteri. A quel punto, i paesi che erano creditori esteri netti, come il Belgio, non ebbero problemi nonostante un enorme debito pubblico su PIL e gli enormi debiti delle banche.
Andare avanti
Questo eBook è un primo passo di un più ampio progetto chiamato “Rebooting Europe” [cioè “Riavviare l’Europa”, NdT]. Questo progetto intende schierare la massa critica dei migliori pensatori in Europa al fine si sviluppare delle soluzioni per far tornare l’Europa stessa a funzionare. Inoltre, intende intraprendere un profondo ripensamento dell’attuale sistema socio-economico-politico europeo. In breve, trovare un modo per aggiornare il “sistema operativo” dell’Europa e riavviarla.
Riferimenti bibliografici
Baldwin, R and F Giavazzi (eds.) (2015), The Eurozone crisis: A consensus view of the causes and a few possible solutions, VoxEU.org, September.
Commission (2015), “Spring 2015 Economic Forecast”, European Commission, DG EcFin.
Gros, D and S Micossi (2008), “The beginning of the end game … ”, VoxEU.org, 20 September.