Una disparata congrega di noti economisti (tra cui Giavazzi, de Grauwe, Blanchard, Tabellini, ecc.) ha deciso che adesso, solo adesso!, c’è ampio consenso sulle cause (tassi di cambio fissi, euro simile a valuta straniera, squilibri di debito estero) e le conseguenze (una generazione perduta di giovani, esplosione dei debiti pubblici, nuove tensioni nazionalistiche) della crisi dell’eurozona.
In pratica hanno deciso di accorgersi adesso che la crisi dell’euro è stata causata dall’euro.
Tutto ciò era stato annunciato a settembre di quest’anno.
(Per qualsiasi commento ci pare sufficiente quanto detto dal prof. Bagnai su Goofynomics.)
gli autori di “Rebooting the Eurozone”, 20 novembre 2015
Richard Baldwin, Thorsten Beck, Agnès Bénassy-Quéré, Olivier Blanchard, Giancarlo Corsetti, Paul de Grauwe, Wouter den Haan, Francesco Giavazzi, Daniel Gros, Sebnem Kalemli-Ozcan, Stefano Micossi, Elias Papaioannou, Paolo Pesenti, Christopher Pissarides, Guido Tabellini and Beatrice Weder di Mauro
L’Eurozona ha bisogno di un riaggiustamento, ma non è possibile giungere ad un accordo sui passi da intraprendere se non si è prima d’accordo su cosa non ha funzionato. Questo articolo introduce un saggio della serie Policy Insight del CEPR (Centre for Economic Policy Research). Gli autori sono una dozzina di eminenti economisti di vari orientamenti teorici. La consensus narrative [termine che definisce su quale “narrazione”, nel senso di spiegazione, i vari studiosi convengono e sulla quale tendono ad essere quindi tutti d’accordo, NdT] qui descritta è sostenuta da una lunga e sempre crescente lista di economisti.
La crisi dell’eurozona è esplosa nel maggio 2010, ed è lungi dall’essere finita. Sebbene recentemente siano emersi alcuni segnali positivi, la crescita e la disoccupazione nell’eurozona sono a livelli avvilenti e secondo le previsioni lo resteranno ancora per anni.
- Una grossa fetta di giovani europei sono stati o saranno disoccupati durante gli anni critici e più importanti della loro vita lavorativa.
- Il malessere economico sta alimentando visioni estremiste e tendenze nazionaliste proprio nel momento in cui l’Europa ha bisogno di cooperare per affrontare le sfide che vanno dalla crisi migratoria ai nuovi possibili shock finanziari.
Quel che è peggio, molte delle fragilità e degli squilibri che hanno portato l’unione monetaria verso la crisi sono tuttora presenti.
- Molte banche europee sono alle prese con crediti inesigibili.
- Molte stanno ancora investendo pesantemente nel debito pubblico dei propri rispettivi paesi – un legame che implica che i problemi delle banche minacciano la solvibilità è dei governi e viceversa.
- I debitori di tutto il continente sono vulnerabili all’inevitabile normalizzazione dei tassi d’interesse, dopo che per anni questi sono rimasti vicini allo zero.
Come primo passo verso l’individuazione di un ampio consenso su ciò che è necessario fare per aggiustare l’eurozona, abbiamo scritto ciò che consideriamo essere la consensus narrative della crisi dell’eurozona. Questa consensus narrative è stata pubblicata oggi sul CEPR Policy Insight, 85, e può essere scaricata gratuitamente dal seguente link:
Rebooting the Eurozone: Step 1 – agreeing a crisis narrative
Sebbene gli autori provengano dagli orientamenti teorici più diversi, abbiamo trovato sorprendentemente semplice giungere ad un accordo sui motivi fondamentali di questa consensus narrative, e su una lista delle cause principali della crisi dell’eurozona. Diciamo “sorprendentemente” perché i politici dell’eurozona restano ancora attaccati a “racconti” molto diversi riguardo la crisi dell’eurozona.
La necessità di una consensus narrative
Formulare delle linee di consenso sulle cause della crisi dell’eurozona è essenziale. Quando avvengono cose terribili, la tendenza naturale è quella di concentrarsi sul danno immediato e di intraprendere delle mosse per evitare che i problemi si ripetano in futuro. Non è possibile essere d’accordo sulle mosse da intraprendere senza essere d’accordo su cosa abbia portato a questa situazione. Senza un accordo su questo, il risultato tipicamente sono mezze misure e compromessi confusi. Ma questi non saranno abbastanza per superare la crisi dell’eurozona e tornare a crescere.
È per questo motivo che formulare una consensus narrative sulla crisi dell’eurozona è così importante. I decisori politici dell’eurozona non potranno mai essere d’accordo su quali cambiamenti siano necessari per evitare future crisi a meno che non siano d’accordo sui fatti basilari che spiegano perché la crisi sia stata così grave e sia durata così a lungo.
La crisi dell’eurozona è consistita in un “sudden stop“
Il nocciolo di quasi qualsiasi crisi è un rapido svilupparsi di squilibri economici. Nel caso della crisi dell’eurozona gli squilibri erano qualcosa di tutt’altro che originale – troppo debito privato e pubblico detenuto in mani estere. Dal momento in cui è stato creato l’euro fino allo scoppio della crisi ci sono stati ampi flussi di capitale dai paesi centrali dell’eurozona, come Germania, Francia e Olanda, verso la periferia dell’eurozona, come Irlanda, Portogallo, Spagna e Grecia.
È importante notare che la crisi dell’eurozona non deve essere interpretata come una crisi del debito pubblico, almeno in origine – anche se poi ha finito per diventarlo.
- A parte la Grecia, i paesi che sono finiti nei programmi di salvataggio non erano quelli con i livelli più alti di debito pubblico su PIL.
- Il Belgio e l’Italia hanno attraversato la crisi con debiti pubblici oltre il 100% del PIL ma non sono finiti nei programmi della Troika.
- L’Irlanda e la Spagna, i cui rapporti tra debito pubblico e PIL allo scoppio della crisi erano sotto il 40%, invece, hanno avuto bisogno dei salvataggi.
Il vero colpevole è stato l’ampio flusso di capitali entro-eurozona che ha avuto luogo nei dieci anni che hanno preceduto la crisi.
Questi squilibri hanno creato le basi per l’esplosione dei problemi dell’eurozona, esplosione avvenuta a partire dal 2010. Tutti i paesi colpiti dalla crisi avevano accumulato deficit delle partite correnti. Nessuno di quelli che aveva accumulato surplus delle partite correnti, invece, è stato colpito.
La crisi dell’eurozona è iniziata con un “sudden stop” [un arresto improvviso, NdT] nei flussi di capitale tra i paesi. Gli investitori sono diventati riluttanti a prestare altro denaro – specialmente verso le banche e i governi degli altri paesi. Le caratteristiche particolari dell’unione monetaria hanno fatto sì che il “sudden stop” non sia stato immediato (come, ad esempio, fu per l’Islanda).
Al contrario, questo “sudden stop con le caratteristiche dell’unione monetaria” si è manifestato attraverso l’aumento dei premi di rischio. L’improvvisa fine dei flussi di capitale ha sollevato preoccupazioni sulla solvibilità delle banche e dei governi nei paesi che dipendevano dai prestiti esteri, per esempio in quelli che stavano accumulando deficit delle partite correnti. Il rallentamento della crescita ha comportato grossi disavanzi nel bilancio pubblico e un rapido aumento del rapporto debito pubblico su PIL. Quando le cose si sono messe decisamente male, molti governi hanno dovuto sostenere parte del peso dei debiti che gravavano sulle banche dei propri paesi, e questo ha fatto aumentare ulteriormente il peso del debito pubblico. È stato così che una crisi di bilancia dei pagamenti si è trasformata in una crisi di debito pubblico.
Perché l’appartenenza all’eurozona è stata determinante: Gli amplificatori della crisi
L’unione monetaria ha avuto un ruolo dato che ha permesso agli squilibri transnazionali di diventare così ampi senza che quasi nessuno se ne accorgesse fino a che la crisi non è esplosa. Ha avuto un ruolo anche perché l’infrastruttura istituzionale, così incompleta, ha amplificato in vari modi l’iniziale perdita di fiducia verso i paesi in deficit.
- I governi dell’eurozona che vanno in crisi non hanno un prestatore di ultima istanza.
Senza un prestatore di ultima istanza, un piccolo shock di sostenibilità può amplificarsi senza limite a causa della spirale mortale che si crea tra l’aumento dei premi di rischio e il peggioramento del deficit di bilancio che deriva dall’aumento dei costi di servizio del debito. Questo vortice tra debito e rischio default ha intrappolato il Portogallo e fatto quasi altrettanto con Italia, Spagna e Belgio. Perfino la Francia e l’Austria hanno navigato ai margini di questo vortice del debito, nei periodi peggiori della crisi.
- L’altra classica risposta che si dà alla crisi – la svalutazione della moneta – non era possibile per i paesi che usavano l’euro.
Nell’insieme, queste due caratteristiche hanno fatto sì che il debito denominato in euro assomigliasse al debito in valuta straniera nelle crisi tradizionali da “sudden stop” che capitano ai paesi in via di sviluppo.
- Lo stretto legame tra le banche dell’eurozona e i governi nazionali ha amplificato e diffuso la crisi.
È il cosiddetto “doom loop” [“ciclo della condanna”, NdT] – un ciclo retroattivo tra le banche e i loro governi. È stata questa una delle fondamentali ragioni per le quali la sola crisi greca ha potuto gonfiarsi fino a diventare una crisi sistemica di proporzioni storiche.
La predominanza del finanziamento bancario ha trasmesso i problemi delle banche all’intera economia.
Nel momento in cui il “doom loop” e il rallentamento dell’economia hanno sollevato incertezza, gli investimenti hanno sofferto molto di più rispetto ai paesi in cui il finanziamento bancario è meno centralizzato, come gli USA. Questo ha indebolito le economie in un modo che ha peggiorato le previsioni di sostenibilità del debito dei paesi e delle banche.
- La rigidità dei mercati dei prodotti e dei fattori produttivi ha reso lento e doloroso il processo di riaggiustamento della competitività.
L’intera situazione è stata peggiorata di molto dalla cattiva gestione della crisi. Sono stati commessi degli errori, ma soprattutto il problema è che non c’era nulla, nell’infrastruttura istituzionale dell’eurozona, che consentisse di affrontare una crisi di questa portata. I leader politici dell’eurozona si sono trovati di fronte alla doppia sfida di fare da pompieri e costruttori di istituzioni – tutto ciò in una situazione in cui gli interessi dei debitori e dei creditori divergevano nettamente, e gli elettorati europei stavano seguendo molto da vicino gli sviluppi.
A giudicare dalle reazioni dei mercati, ogni intervento politico “di salvataggio” contingente finiva per peggiorare le cose a partire dal giorno successivo. Si è svoltato l’angolo solo nell’estate del 2012, con la decisione di stabilire un’unione bancaria e il “whatever it takes” del Presidente della BCE Mario Draghi.
I seguenti noti economisti hanno accettato di sostenere la consensus narrative. Se sei un economista e vuoi sostenere anche tu questa consensus narrative, scrivi a support.rebooting@cepr.org dichiarando il tuo sostegno e allegando un CV che dimostra che sei un economista (nel business, nei media, nell’università, in un gruppo di esperti, ecc.).
I sostenitori della Consensus Narrative sulla Crisi dell’Eurozona (in ordine di risposta)
Silvana Tenreyro, LSE, Sir Charles Bean, LSE (ex vice-governatore della Banca d’Inghilterra), Philippe Bacchetta, University of Lausanne, Jorge Braga de Macedo, Universidade Nova de Lisboa, Lars E O Svensson, Stockholm Univeristy (ex vice-governatore della Banca Centrale Svedese), Andrew Rose, UC Berkeley, László Halpern, Hungarian Academy of Sciences, Refet S. Gürkaynak, Bilkent University, Giorgio E Primiceri, Northwestern University, Peter Bofinger, Universität Wurzburg, Jürgen von Hagen, Universität Bonn, Tryphon Kollintzas, Athens University of Economics and Business, Patrick Honohan, Trinity College Dublin (ex governatore della Banca Centrale Irlandese), Charles A Goodhart, LSE, David Vines, University of Oxford, Fabrizio Coricelli, University of Paris I, Stephanie Schmitt-Grohé, Columbia University, Pierre-Olivier Gourinchas, UC Berkeley, Evi Pappa, EUI, Cédric Tille, The Graduate Institute, Geneva (membro del consiglio della Banca Nazionale Svizzera), Stephen G. Cecchetti, Brandeis International Business School (ex capo consigliere economico della Banca dei Regolamenti Internazionali), Carmen Reinhart, Harvard, Ugo Panizza, Graduate Institute, Geneva, Tommaso Monacelli, Università Bocconi, Donato Masciandaro, Università Bocconi, Tony Yates, University of Birmingham, Yannis M. Ioannides, Tufts University, Paolo Giudici, University of Pavia, John Hassler, Institute for International Economic Studies in Stockholm, Dirk Schoenmaker, Rotterdam School of Management, Erasmus University, Guillaume Daudin, Université Paris-Dauphine, Jesper Stage, Luleå University of Technology, Manos Matsaganis, Athens University of Economics and Business, Athanasios Orphanides, MIT (ex governatore della Banca Centrale di Cipro), Paolo Giudici, University of Pavia, Anthony Elson, Sanford School of Public Policy, Duke University.
Altri sostenitori:
Orkun Saka
Shalva Mkhatrishvili
Marta Götz