W. Münchau: Se Sarà Brexit, Lasciate che la Gran Bretagna Esca in Pace

Mentre i media e la politica internazionale ci offrono uno spettacolo tragico di isteria collettiva sullo “spettro”, l’”ombra”, il “pericolo” (e così via) della Brexit, Wolfgang Münchau, editorialista del Financial Times, nota che l’unica vera paura dei funzionari dell’Unione Europea è che la Brexit rompa il muro dell’ignoto, vada bene e incoraggi altri paesi a seguire l’esempio. I rischi potenziali sono enormemente sopravvalutati, a meno che non vengano inflitti di proposito come disdicevole ritorsione. Se veramente gli “europeisti” hanno una causa valida da sostenere, devono rilassarsi e cercare di formulare argomenti positivi pro-UE (se ne esistono).

di Wolfgang Münchau, 12 giugno 2016

Durante le conversazioni con i funzionari europei continuo a sentire ripetere un argomento rivelatore: se la Gran Bretagna votasse per uscire dall’Unione Europea e ciò venisse visto come un successo, altri paesi membri potrebbero seguirne l’esempio. Perciò questo pericolo deve essere stroncato sul nascere.

Questo modo di ragionare rivela l’implicita amissione che la Brexit potrebbe funzionare dal punto di vista economico. Più precisamente, chi ragiona così teme che un eventuale successo post-Brexit tolga agli europeisti ciò che essi ritengono essere il proprio argomento più forte: la paura dell’ignoto. La recente oscillazione nei sondaggi di opinione, che indica il fronte della Brexit in vantaggio, suggerisce che la campagna di paura portata avanti dal fronte del “Remain” non sta funzionando. Se il “Progetto Paura” (come è stata soprannominata la campagna per la permanenza in UE) fallisce nel Regno Unito, non può più essere impiegata altrove. Gli europeisti sarebbero allora costretti a costruire argomenti positivi in favore dell’UE, cosa che però molti di loro trovano alquanto difficile. A quel punto la Brexit potrebbe scatenare un effetto domino nel quale un paese dopo l’altro potrebbe decidere di seguire la Gran Bretagna nella sua uscita.

È per questo che si vuole prevenire a qualsiasi costo un successo della Brexit. In Francia alcuni funzionari hanno propugnato l’idea di una reazione punitiva contro il Regno Unito — o almeno una rottura netta con tutti i Trattati europei, incluso il mercato unico. Si oppongono a qualsiasi possibilità di uscita morbida, che preveda un accesso preferenziale della Gran Bretagna alla più grande area di libero commercio al mondo.

La premessa di un impatto mite sull’economia è realistica? Se lo è, gli altri paesi dell’UE devono organizzare una ritorsione in modo da farne un caso esemplare? Le mie risposte sono “probabilmente sì” e “certamente no”. La Brexit avrà delle conseguenze economiche, ma credo che non saranno così drammatiche come suggerisce il fronte del Remain. E comunque no, gli altri paesi UE non devono fare ritorsioni. Danneggerebbero più loro stessi che il Regno Unito.

So che il Ministero del Tesoro britannico, la Banca d’Inghilterra, il club OCSE dei paesi ricchi e il Fondo Monetario Internazionale hanno tutti quanti prodotto degli studi che mostrano un grave impatto economico della Brexit. Il problema è che tutti questi studi si basano su assunzioni piuttosto specifiche sugli sviluppi futuri del commercio e, cosa più importante, sul modo in cui l’economia si regolerà nel lungo periodo. Tutti questi studi sono altamente speculativi e quasi certamente sbagliati. L’economia britannica alla fine si regolerebbe in modo da adattarsi al nuovo regime, così come si è adattata al mercato unico quando questo è stato avviato più di 20 anni fa.

I modelli macroeconomici svolgono molti ruoli utili. Ma fingere che si possano misurare conseguenze economiche a lungo termine di una decisione politica ancora sconosciuta significa fare un abuso della metodologia e delle assunzioni matematiche sottostanti. Ci sarebbero certamente alcuni specifici effetti negativi sull’economia, ma ce ne sarebbero anche di positivi a bilanciarli. La sterlina potrebbe svalutarsi e portare così a una riduzione dell’attuale ampio deficit delle partite correnti della Gran Bretagna. I prezzi delle case potrebbero scendere, e anche questo potrebbe essere positivo. E se la City di Londra perderà un po’ di affari non è detto che questo sia un male per l’economia nel suo insieme. La teoria economica ci dice che la ricchezza di un paese dipende, in ultima analisi, dalle sue capacità, dalle sue risorse e dalla qualità delle sue politiche. È difficile immaginare come la Brexit possa incidere su tutto questo — a meno che non pensiate che, uscendo, il Regno Unito si trasformi in una specie di Corea del Nord.

Nel breve termine la Brexit potrebbe avere un impatto economico negativo. Comporterebbe un improvviso cambiamento di regime e con esso delle perdite per attrito. Ma sarebbe una follia lasciare che delle valutazioni sui costi nel breve termine interferiscano con una decisione riguardo la posizione strategica nel lungo termine del paese in Europa.

La premessa riguardo le preoccupazioni sull’impatto politico della Brexit in altri paesi è dunque corretta. Gli altri come reagirebbero? Dovrebbero cercare di innalzare i costi economici dell’uscita della Gran Bretagna in modo da scoraggiare altri dal seguirne l’esempio? Ciò sarebbe irresponsabile e controproduttivo. Per prima cosa l’UE ha un surplus commerciale con il Regno Unito. Cosa più importante, l’UE si sta già impegnando abbastanza a perdere la propria reputazione con l’accordo sui rifugiati, moralmente abietto, fatto con la Turchia. Se adesso l’UE si mette a penalizzare un paese membro per il fatto che esce, si tirerebbe addosso la reputazione di regime odioso.

C’è un tedesco che dice che non si deve cercare di ritardare il viaggio di chi vuole partire. Il mio consiglio è di lasciare che la Gran Bretagna possa andarsene in pace, che le si offra un buon accordo e si pensi in modo strategico. L’UE ha ancora bisogno della Gran Bretagna in molte aree delle scelte politiche. E chi lo sa, in futuro la Gran Bretagna potrebbe decidere di rientrare nell’UE.

Se vince il Remain, mi aspetterei che gli altri governi UE onorino il patto fatto con David Cameron, il primo ministro britannico. In nessun caso l’UE deve accettare un cambiamento dei trattati che consenta al Regno Unito di esimersi da un’unione sempre più stretta. Ciò renderebbe assurda l’intera idea di Unione Europea. Data la mancanza di volontà nel cambiare i trattati, specialmente in Francia, al momento non vedo profilarsi questo pericolo.

Ma qualunque sia l’esito del referendum, le possibilità che il Regno Unito giochi un ruolo attivo nel plasmare il futuro dell’Europa sono minime.

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