Sul Telegraph, Ambrose-Evans Pritchard commenta il recente report di Mediobanca sui costi dell’uscita dell’Italia dall’euro facendo riferimento al dibattito in corso, sia sul significato reale dei saldi Target2 recentemente richiamati da Draghi, sia sulla possibilità effettiva di ridenominare in lire anche il debito di nuova emissione. Il dato è che il tema non è più un tabù e il mondo bancario inizia a prenderlo seriamente in considerazione.
di Ambrose Evans-Pritchard, 01 febbraio 2017
Un rapporto della banca italiana Mediobanca è piombato con una forza esplosiva sulle scrivanie a Roma, Milano e Torino.
Il rapporto delinea dettagliatamente il motivo per il quale alla fine l’Italia non ha più possibilità, dopo diciotto anni di depressione economica e di cattiva gestione dell’eurozona. La terribile prospettiva di uno scoppio totale della crisi del debito in un paese “too big to save” [“troppo grande per essere salvato”] – e, al punto a cui siamo arrivati, anche troppo arrabbiato per subire prevaricazioni – deve essere affrontata apertamente.
“La nostra conclusione è che una ristrutturazione volontaria del debito, uno scenario di Italexit, o una loro combinazione, sarà inevitabilmente presa in considerazione dagli investitori” dice il report.
Il report dice poi che il momento ottimale per uscire dall’euro è già passato, almeno in termini strettamente finanziari, e che col passare degli anni farlo diventerà sempre più costoso. Nel corso dei prossimi quattro anni diventerà proibitivo.
Il messaggio che alcuni ne hanno tratto è che l’Italia dovrebbe agire immediatamente – o al più presto – se intende liberarsi dell’unione monetaria. “Fare presto” è il verdetto, piuttosto eloquente, del leader del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo.
Ad oggi l’Italia può ancora ridenominare in lire la metà dei 1.900 miliardi di euro di debito pubblico, secondo le disposizioni legali della Lex Monetae a condizioni neutre, ma il punto è che questo dato potrebbe cambiare nel momento in cui il nuovo debito contratto con le clausole di azione collettiva (CAC) andrà a sostituire i vecchi bond.
La premessa fatta da Mediobanca è che l’Italia si sta avviando verso una tempesta perfetta, gravata da una serie di problemi che sono sul punto di esplodere, e a corto di acquirenti per il proprio debito. La Banca Centrale Europea inizierà presto a ridurre il proprio programma di acquisto titoli, mentre le nuove regole sul debito costringeranno le banche italiane a ridurre di 150 miliardi di euro la propria esposizione verso i titoli di stato.
Tutto ciò avverrà avendo, sullo sfondo, una politica monetaria più restrittiva negli Stati Uniti e lo shock della reflazione spinta da Trump. Tutte le circostanze si stanno combinando per spingere sempre più in alto il tasso di interesse reale, con una economia italiana che è ancora bloccata nella trappola deflazionistica.
Per giunta Bruxelles quest’anno imporrà un nuovo inasprimento fiscale, con le “clausole di salvaguardia” che impongono l’aumento automatico dell’IVA. Il vento in poppa che, per un breve periodo, ha fatto sembrare che la situazione italiana all’interno dell’euro potesse essere sostenibile, si sta ora trasformando in un vento contrario.
Il sistema BCE ha già acquistato 210 miliardi di euro di titoli del debito italiano. Questa cifra ammonta all’intero deficit di bilancio dello scorso anno, e ha coperto il rinnovamento dei vecchi titoli nel momento in cui gli investitori se ne stavano liberando. “La fine del QE lascerà l’Italia senza l’acquirente più importante del proprio debito“, dice il report.
Il paese dovrà affrontare quello che Mediobanca definisce un “problema di titolarità” su mille miliardi di euro di debito, una volta che la BCE si sarà tirata indietro, e ciò potrebbe accadere già nel corso di quest’anno, data la ribellione che monta in Germania contro l’inflazione.
I creditori dell’Italia si troveranno a quel punto di fronte a una scelta: offrire una ristrutturazione del debito in termini amichevoli stando all’interno dell’unione monetaria, oppure fare resistenza e aspettare che la tempesta politica che si sta abbattendo sull’Italia disintegri l’intero sistema dell’eurozona.
Il report, firmato da Antonio Guglielmi e Marcello Minenna, sostiene che una ristrutturazione volontaria del debito sarebbe il modo più pulito per riportare il debito italiano su un “percorso sostenibile”. Ciò potrebbe essere fatto prolungando le scadenze, tagliando gli interessi sul debito, o entrambe le cose.
“Senza queste modifiche il dibattito sull’uscita unilaterale dall’eurozona e il conseguente ritorno alla lira appaiono sempre più probabili, sulla base dell’attuale situazione politica a Roma” dice il report.
Gli autori sostengono che una “Italexit” con una moneta più debole e il recupero della “sovranità monetaria” potrebbero essere la medicina necessaria per rianimare l’economia italiana, e i cittadini italiani stanno prestando orecchio a questi argomenti.
“Il genio è uscito dalla lampada. In ogni talk show in Italia si parla apertamente dell’uscita dall’euro. Se ne parla ogni giorno di più, e prima o poi il mercato si muoverà” ha detto Claudio Borghi, il guru economico della Lega Nord.
Ci sono quattro partiti politici che stanno considerando il ritorno alla lira – tra i maggiori ci sono la Lega Nord e il Movimento Cinque Stelle – e l’insieme dei voti che possono raccogliere arriverebbe ad oltre la metà dei seggi in Parlamento nelle prossime elezioni politiche, che probabilmente si terranno verso giugno di quest’anno.
Gli investitori si stanno cautelando. Lo spread sul rischio dei titoli decennali italiani questa settimana ha raggiunto 187 punti base, e si sta avvicinando ai livelli pre-crisi, nonostante lo scudo della BCE.
Mediobanca dice che i vari schemi della BCE (LTRO e QE) sono serviti essenzialmente per finanziare la “fuga di capitali” dall’Italia, e hanno permesso alle banche del Nord Europa di riprendersi il proprio denaro. Il rischio si è ora scaricato sui contribuenti europei, come successo in Grecia.
Più di 220 miliardi di euro sono già usciti dall’Italia e sono finiti in fondi d’investimento in Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi. Questa disintegrazione al rallentatore dell’unione monetaria è evidente se si osservano le passività dell’Italia nel sistema di pagamenti Target2 della BCE, che ha raggiunto la cifra record di 359 miliardi.
Il presidente della BCE Mario Draghi in una recente lettera ha avvertito i parlamentari italiani che se un paese ha intenzione di lasciare l’euro, “i saldi passivi o attivi della sua banca centrale nazionale presso la BCE devono essere pienamente liquidati“.
Qui siamo su un terreno pericoloso. Draghi sta praticamente affermando che il debito pubblico italiano sul PIL è di 20 punti percentuali superiore a quanto riconosciuto ufficialmente – vale a dire 153 percento anziché 133 percento. Ma allora perché questo non si riflette sui dati ufficiali?
C’è un aspro dibattito sul fatto se l’Italia debba realmente o no questa cifra del Target2. La BCE, fino ad ora, ha sempre scartato qualsiasi ipotesi sul fatto che queste grosse cifre (la Germania ha crediti per 754 miliardi di euro) siano un bail-out mascherato o riguardino denaro vero. Ora all’improvviso pare che Target2 non sia più solo un gioco del Monopoli.
L’argomento di Mediobanca sulle clausole CAC di azione collettiva sul debito – concordate coi creditori UE nel dicembre 2012 – è che esse rendano più difficile la “ridenominazione” dei bond da euro in lire. Le spese legali non renderebbero più conveniente questa operazione.
Al termine dello scorso anno i titoli coinvolti da queste clausole erano circa la metà. L’Italia aveva 932 miliardi di euro di vecchio debito e 902 miliardi di debito con le nuove clausole. I contratti si stanno tutti riconvertendo dalle vecchie alle nuove clausole al ritmo di 200 miliardi all’anno. La maggior parte dello stock del debito sarà emesso secondo le nuove regole di qui al 2022.
Ci sono delle critiche su questo punto. Nessuna corte di giustizia italiana sosterrebbe la supremazia delle nuove clausole che sono state imposte all’Italia in un momento in cui il paese aveva la pistola puntata alla tempia. “Gli esperti legali ci hanno già assicurato che la Lex Monetae prevale su tutto il re sto” ha affermato Borghi.
I calcoli di Mediobanca sui guadagni e le perdite dell’uscita dall’euro sono basati sul presupposto che la lira si svaluti del 30 percento. Questo alzerebbe i costi su tutto il debito che non può essere ridenominato – tra cui 672 miliardi di euro di debito privato – di una percentuale ancora più alta.Borghi sostiene che l’euro nei fatti si disintegrerebbe. La dracma e l’escudo crollerebbero. Il marco tedesco e il fiorino invece volerebbero. Il franco e la lira – o il nuovo “fiorino” mediceo, come lo chiama Borghi – si svaluterebbero di una certa percentuale, ma non del 30 percento rispetto alla media delle nuove monete europee.
Una volta scoppiato il bubbone, gli italiani farebbero rientrare il denaro dai conti a Londra, a Parigi o a Monaco di Baviera. La lira si stabilizzerebbe. “Attualmente abbiamo un surplus delle partite correnti. Un tasso di cambio più debole ci darebbe un surplus ancora maggiore, non vedo perché la moneta dovrebbe svalutarsi così tanto“, ha detto Borghi.
La cosa su cui tutti i critici dell’euro sono d’accordo è che l’unione monetaria è stata disastrosa per l’Italia. Mediobanca dice che per la maggior parte del periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale la produttività italiana aumentava di pari passo conquella tedesca e francese – con l’aiuto delle svalutazioni – ma nel momento in cui è stata istituita l’unione monetaria, si è bloccata.
Per diciotto anni non c’è stato alcun aumento del reddito pro capite. La produzione industriale è crollata ai livelli dei primi anni ’80. L’economia è tuttora sotto di 7 punti percentuali rispetto ai livelli precedenti alla crisi finanziaria del 2008. I due decenni perduti rischiano di diventare tre. È molto peggio di qualsiasi altra crisi attraversata da un’economia sviluppata in tempi di pace.
Luigi Zingales dell’Università di Chicago dice che l’euro è stata solo una coincidenza. La valuta è stata lanciata nel momento in cui la globalizzazione e lo shock della Cina stavano per colpire l’Italia con forza asimmetrica, esponendo le pecche del suo sistema di istruzione e delle medie imprese.
Può anche essere vero, ma è proprio quando dovete affrontare una minaccia di questo tipo che avete bisogno di un tasso di cambio flessibile e di tutti gli strumenti della sovranità per poter uscire dall’impasse.
Il fallimento totale delle politiche delle élite in Europa e in Italia è che esse hanno ignorato tutti gli avvertimenti lanciati dai teorici della moneta – nonché l’insegnamento offerto dallo storico divario nord-sud Italia che ha azzoppato l’unione monetaria interna, quella della lira, fin dal Risorgimento, e che avrebbe dovuto rappresentare un salutare avvertimento.
Ora è troppo tardi. L’Italia ha passato il punto di non ritorno dell’unione monetaria. E i mercati lo sanno.